Parlare di affetti, elementi principali per il lavoro psicoanalitico, ha contribuito allo sviluppo di una teoria, anzi di una molteplicità di indirizzi teorici. La dimensione affettiva è stata avvicinata con estrema prudenza dagli psicoanalisti perché parlare di sentimenti era considerato poco scientifico. Lo stesso Freud, ha attribuito poco interesse a questi fenomeni la cui spiegazione risiede nel predominio della filosofia materialistica diffusa a quel tempo, che attribuiva validità solo ai dati che si potevano misurare e verificare. L’elemento negativo non risiede nel fenomeno in se, ma nella mancanza di strumenti di rilevazione e di valutazione. David Rapaport fu uno degli psicoanalisti che si era reso conto della mancanza in psicoanalisi di una vera e propria teoria degli affetti e cercò di colmare questa mancanza, lavoro invece sviluppato da Eward Glover e Edith Jacobons.

Inizialmente, i sentimenti presi in considerazione erano solo quelli del paziente. E’ stata una conquista importante, e allo stesso tempo, una sfida affermare di come siano importanti per il processo terapeutico gli affetti che si sviluppano nel terapeuta durante il trattamento. Questo modo di pensare si è sviluppato intorno agli anni ’40 e ’50. Oggi, alcune di queste soluzioni sono state accettate; altre sono ancora oggetto di discussione.

Anche in Freud, troviamo elementi di questo problema. Freud affermava che i fattori controtransferali potessero ostacolare la capacità di osservazione dello psicoanalista. Questo pensiero di Freud trova maggiore spiegazione nel rapporto tra Jung e Sabina Spielrein, che coinvolse lo stesso Freud contribuendo ad aumentare i suoi timori.

Fu Ferenczi, il precursore del filone psicoanalitico, a riconoscere l’uso degli affetti del terapeuta, il quale entrerà in conflitto con lo stesso Freud.

I maggiori contributi su tema del controtransfert derivano dalla scuola inglese, influenzata dalla presenza a Londra di Melaine Klein, allieva di Ferenczi.

Negli Stati Uniti l’interpersonalismo di Harry Stack Sullivan riconosce la tecnica del terapeuta come “persona”. Sullivan si occupava di forme psicopatologiche gravi, in cui il terapeuta si sente, inevitabilmente, coinvolto a livello emotivo.

L’area classica della psicoanalisi impiegherà tempo nell’accettazione dell’esistenza di un campo terapeutico.

A livello storico, uno degli autori che ha maggiormente approfondito questo tema è Heinrich Racker verso la fine degli anni ’40. Egli riprende e amplifica le intuizioni e i concetti Helene Deutsch del ’26. Altri contributi derivano da Donald W. Winnicott, Margareth Little, Paula Heimann, Michael Balint, Frieda Fromm Reichmann, Annie Reich, Edith Weigert, Ralph Greeson , Maxwell Gitelson, Merton M. Gill, condividendo l’assunto di base della inevitabilità dei movimenti affettivi nell’analista.

La discussione sul controtransfert ha avuto un andamento più sofferto rispetto a quella sul transfert, ritenuto utile per Freud. Nel controtransfert il terapeuta diventa il centro dell’attenzione, e si deve osservare come il secondo elemento della coppia analitica, dove il terapeuta si libera della convinzione classica di neutralità riducendo la distanza dal suo paziente.

Ora è accettato che il terapeuta si lasci invadere da produzioni affettive proprie reattive al paziente, prodotte dallo stesso paziente, le quali conferiscono una unicità alla situazione analitica. Il timore principale può essere la perdita del ruolo del terapeuta. In questo modo, la psicoanalisi si affianca ad altre scienze sperimentali che hanno già verificato come il dato non può essere separato dalla personalità di colui che lo coglie.

Nel dibattito sul controtransfert si delineano elementi quali l’empatia e l’identificazione proiettiva che sono più complessi e meno conosciuti rispetto al controtransfert.